KEN PARKER

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Messaggio Da Ospite Ven 12 Ago 2016, 16:17

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DI BERARDI E TREVISAN (20)

La serie di Ken, come ho scritto in precedenza, è un work in progress. L’identità del personaggio si modifica con le sue storie, e le esperienze di Ken, a differenza di quanto può accadere a Tex Willer, lasciano cicatrici con cui lui stesso continuerà a confrontarsi anche nelle prossime avventure. E di ferite, Lungo Fucile, nella sua esistenza ne ha avute tantissime e ne avrà ancora. Ma parlavo di “lavori in corso” perché Berardi, anche in questa storia, mixa i generi mostrando l’intenzione di reinterpretare gli stereotipi western. E infatti ci presenta un western che tanto western non è. Storia d’armi e d’imbrogli – titolo evocativo come Uomini, bestie ed eroi o La ballata di Pat O’ Shane – ci presenta un simpatico truffatore che, a differenza di un cattivo come Welsh, è un personaggio di un certo stile. La sua rapina ai danni dell’esercito è d’antologia e Berardi conferisce a Gordon (nome fittizio per un truffatore) il genio di un antenato di Lupin o Diabolik. Ed è proprio il nostro Ken a dover affrontare questo villain che, alla fine, riuscirà perfino a farla franca. Un Ken sconfitto, dunque, non come gli invincibili Zagor, Tex o Blek. E noi facciamo in fondo il tifo per Gordon e, perfino il disegno aggraziato e grigio di Trevisan, sembra addolcire la pillola al nostro eroe. So long.

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Messaggio Da Ospite Ven 12 Ago 2016, 16:24

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DI BERARDI, MANTERO E MARRAFFA (21)

Ormai il nostro Ken è entrato in pianta stabile come guida a Fort Sill. Dopo le peripezie in giro per gli Stati Uniti per catturare Welsh e la minisaga di Pat O’ Shane, Lungo Fucile forse è alla ricerca di stabilità. Un eroe solitario, anzi, un antieroe che affronta la vita e le esigenze di guadagnarsi la pagnotta. A Lawton, piccolo paese dell’Oklahoma, il soldato Lyman Ames viene accusato dello stupro di Alice Mac Lean. Ken e il collega di Lyman devono indagare e impedire che il loro amico venga impiccato, ma dovranno fare i conti con il padre della vittima, un uomo disperato che invoca e pretenda giustizia, e i biechi interessi di Bruce Cotton, un bounty killer. Ma dietro alla vicenda e alla tragedia di Lyman c’è un amore osteggiato, in una storia in cui il tema della giustizia diventa uno specchio per analizzare la verità. O meglio, una facciata della "verità". Perché la verità può essere ambigua e avere molti aspetti. In quest’albo fa il suo esordio Maurizio Mantero, compagno di giochi di Berardi, che co-sceneggia questo episodio per i solidi disegni di Marraffa, autore un po' incerto in alcuni primi piani. Ne Il Giudizio di Dio la sceneggiatura è, come sempre, ottimamente caratterizzata, con numerose sequenze di vignette alternate che rendono la vicenda più realistica e scandiscono il trascorre del tempo. In più evidenziano gli stati d’animo dei protagonisti. Ma quella verità invocata da tutti uscirà allo scoperto solo alla fine e, ancora una volta, Ken ammetterà di aver sbagliato. Perché la verità è subdola, così come il giudizio e gli esseri umani. E Ken non è Tex, non è Dio. E' un uomo. So long.

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Messaggio Da Ospite Ven 12 Ago 2016, 16:31

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DI BERARDI, MANTERO E ALESSANDRINI (22)

Nella sua saga Ken non ha mai avuto un pard fisso, un Carson e Cico della situazione, ma nel corso delle sue avventure ci sono stati vari comprimari (e altri ce ne saranno) che ne hanno condiviso con lui momenti di gioia e di dolore. Ne Il giorno in cui bruciò Chattanooga, che vede ai testi il solo Mantero con Berardi al soggetto, Ken agirà insieme allo scout indiano Victorio. Entrambi sono arrivati, insieme a un drappello di soldati, a Chattanooga per acquistare dei cavalli. Ancora una volta, quello che poteva essere un “semplice” episodio western, nella saga kenparkeriana diventa qualcosa di alternativo e più profondo: un gruppo di rapinatori tenta di svaligiare la banca del Paese e, per farlo, si traveste da pompieri. Niente sparatorie all’impazzata prima che arrivi lo sceriffo, dunque, ma un piano congegnato nei minimi dettagli. Compreso l’incendio. Sì, signori, perché il fulcro di questa storia è l’incendio e ciò che provoca alla cittadina di Chattanooga, un microcosmo ricco di personaggi, di persone, di uomini e donne che Mantero presenta in maniera efficace e berardiana con tanto di taglio epico e cinematografico. Una vicenda corale in cui per fortuna gli autori si ricordono anche di Ken che, insieme al fido Victorio, riuscirà a salvare i piccoli studenti che i banditi tenevano in ostaggio. Anche in questo caso, Berardi e Mantero, usano un espediente alla Diabolik per permettere a Ken di salvare capra e cavoli. So long.

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Messaggio Da Ospite Ven 12 Ago 2016, 16:35

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DI BERARDI E CIANTI (23)

In questa storia Ken è pronto per ritornare nel Montana, la sua terra, la sua casa, il posto dove è iniziato tutto, quel luogo in cui fu assassinato suo fratello. Per farlo dovrà attraversare una parte del fiume Missouri. Giunto nel paesino di Kickapoo, nel Kansas, prevede di imbarcarsi su un battello a vapore ma durante il tragitto resta immischiato in una vicenda western-gialla che coinvolge una bella avventuriera, suo padre, e un losco figuro di nome Lynch. E qualcuno di questi personaggi nasconde un segreto. E una mappa. Una mappa per raggiungere un ricco giacimento aurifero. In questo episodio fa il suo esordio Giovanni Cianti, disegnatore dal tratto spigoloso ma efficace soprattutto nel ritrarre gli ambienti e gli interni. Immancabili i “pirati” del fiume che tenteranno di rapinare e assaltare il battello e che si scontreranno con Ken che dovrà darsi da fare per salvare la vita. Alla fine i sogni di ricchezza di alcuni dei personaggi di questa storia naufragheranno proprio come i tentativi dei banditi di rapinare il battelo. C'est la vie. So long.

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Messaggio Da Ospite Ven 12 Ago 2016, 16:44

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DI BERARDI, MANTERO, MARRAFFA E MONTI (24)

Giunto nel Montana Ken sta per iniziare la sua esperienza di guida al Fort Benson, ma prima dovrà aiutare Brenda Taylor, una vedova alle prese con i soliti speculatori che vogliono confiscarle il ranch. Una storia, e una trama, che andrebbe bene per uno di quegli episodi di Tex scritti dal mitico GLB, dove il ranger arrivava, ammazzava tutti, fa giustizia e vai con birra e patatine. Il cattivo di turno è Basehart, un pancione arrivista che vuole sbafare e prendersi le terre dei Taylor. Ken aiuterà la donna – e questa volta non avrà in cambio piacevoli notti di sesso – perché lui è fatto così. Sarà l’aria di casa, le montagne, i silenzi del Montana, ma Lungo Fucile non è un tipo da girare la faccia a chi invoca aiuto. Mantero, su soggetto di Berardi, dimostra di essere uno sceneggiatore capace, di saper calibrare bene le sequenze narrative, anche se gli manca quell’ironia tipica dell’autore della serie. Ai disegni un insolito tandem, Marraffa e il texiano Monti. Lassù nel Montana ha una copertina magnifica, perché Milazzo è un grande, e io non mi stancherò mai di dirlo. Un Autore che riesce a evocare tutto quello che c'è da evocare: guardate l'immagine, ammirate i colori, lasciatevi andare e se non vi vien voglia di sedervi accanto a Ken abbandonate questo forum, smettetela di leggere fumetti! Ma è anche questo titolo che sa darmi quella sensazione e quella voglia di partire e di perdermi in quei territori lontani del Montana… sì, proprio lassù. So long.

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Messaggio Da Ospite Mar 30 Ago 2016, 11:02

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DI BERARDI E MILAZZO (25)

Lily e il cacciatore, ovvero: un manifesto letterario, più che un fumetto. Signori miei, ho riletto questa storia come feci con Chemako: in religiosa contemplazione e nel silenzio ovattato del mattino. Ed è stato meraviglioso. Un albo come questo va recuperato nell’edizione Cepim, se possibile, con le pagine leggermente ingiallite, dove le meravigliose tavole di Milazzo riescono a creare un'empatia con la storia, i personaggi, i paesaggi e i luoghi. E la carta crea quella simbiosi con il lettore che nessuna digitalizzazione potrà mai sopperire. Ma torniamo a noi: questa storia è davvero un fumetto? Un film? Un documentario? L'avventura di uno scout giunto nel Montana che, dopo un assedio, si ritrova ferito e in una grotta alle prese con una cagnetta di nome Lily che lo aiuterà nel suo processo di guarigione. Una lotta per la sopravvivenza già vista nella meravigliosa Le Terre Bianche. Ma Berardi in questa storia sfida il lettore, come Ellery Queen nei finali dei suoi romanzi: solo che la posta in gioco è più alta. Qui c’è la poesia, la stessa poesia che mancava nel fumetto tradizionale e in saghe come quella di Tex, dove gli eroi lasciano poco spazio alla fragilità. Una fragilità che il mitico ranger ha pur mostrato solo una volta, e nemmeno velatamente, di fronte alla tomba di Lilith in quel superbo capolavoro grafico-letterario che è Il Giuramento bonelliano. Come in un racconto di Sturgeon, dove la fantascienza lascia spazio alla poesia, ti chiedi: ma davvero in un western può esserci spazio per tanta liricità? La scena onirica di Ken a metà albo vale il prezzo del biglietto. Un biglietto che conduce il lettore a un ingresso gratuito che porta nel cinema berardiano. Accomodatevi che c'è posto per tutti! Ma Lily e il Cacciatore è sì un episodio famoso e perfetto, ricco di suggestioni e di pathos, ma anche pieno di filosofia. Milazzo consegna alla storia tavole di pregiata fattura, piene di silenzi, di natura, di sguardi, ambienti, animali… una storia introspettiva, un manuale per l’aspirante sceneggiatore. In una parola? Capolavoro. E io ho detto troppo. So long.

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Messaggio Da Ospite Mar 30 Ago 2016, 11:08

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DI BERARDI, MANTERO, AMBROSINI E MILAZZO (26)

Dopo un albo come Lily e il Cacciatore arriva come un fulmine a ciel sereno questo Pellerossa: una storia densa, ricca e suggestiva, che pone di nuovo il nostro Ken di fronte alla “questione indiana”. Convalescente a Forte Shaw, il Nostro si trova coinvolto in una classica avventura western. I Sioux di Mandan, personaggio reduce dal primo mitico albo, attaccano una piccola carovana di carri: uomini, donne e bambini al cospetto della morte. Ma al loro fianco c’è Ken, un uomo che ha maturato una maggiore esperienza in queste ultime storie. Non un eroe, anche se è disposto a sacrificare la vita per gli ideali e per gli innocenti; non un pistolero infallibile come Miki e Tex, ma uno scout che sa adoperare tutti i trucchi imparati nella sua vita errabonda. Pellerossa è per me una storia basata sulle “esperienze”: quella di Ken e di Mandan. Che entrambi, a fine storia, come in una sorta di finale capovolto di Lungo Fucile, si ritrovano di nuovo uno di fronte all’altro. Bianchi contro indiani. Ancora una volta. E quest’avventura farà da spartiacque alle successive in cui Ken dovrà capire da che parte stare e che avrà il suo epilogo nella celebre storia con Custer. Un nuovo – l’ennesimo – albo d’autore, per così dire, firmato da Mantero su soggetto di Berardi. Ai disegni un elegante Ambrosini, magistrale autore di fumetti come Napoleone e Jan Dix, al suo esordio nella serie, coadiuvato da un Milazzo, come sempre, in stato di grazia. So long.

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Messaggio Da Ospite Dom 04 Set 2016, 12:33

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DI BERARDI E TREVISAN (27)

C’era una volta un uomo vestito di rosso che ogni notte di Natale portava doni ai bambini buoni. Oppure: C’era una volta un indomito trapper dai capelli biondi che lottava per la libertà della sua gente contro il gioco del prepotente esercito colonialista. ;a anche: C’era una volta Ken Parker, che incontra un’allegra famigliola di girovaghi in stile Sullivan ma più "umani": il "magico" Hermes è un adorabile papà alle prese con i due figlioletti, Dan e Liza, Terry, la sua leggiadra moglie, e Nonno Ezra, un simpatico vecchietto con il vizio della cleptomania. E non dimentichiamoci di Romeo, il cagnetto di famiglia. Berardi è l’unico autore di fumetti a capire in tempi non sospetti il valore dei personaggi, delle varie sfaccettature che essi possono avere, dei difetti e dei pregi che posseggono e di dare voce alle loro storie e non all'egocentrismo dell'eroe. Ma in questo caso l’Autore riesce a inserire nella sua saga un tocco di classe in più con questa storia, rendendo C’era una volta una fiaba inventata da Ken stesso per intrattenere i bambini di Fort Benton, dopo che questi sono scampati ai pericoli narrati nel precedente Pellerossa. E quella del Ken narratore rappresenta un espediente narrativo che sarà riutilizzato in seguito, quando Lungo Fucile inizierà a scrivere dei romanzi e Parker si contrapporrà a Berardi stesso, nel gioco autore-personaggio. Ma in questa sorta di fiaba western, il nostro scout viene accusato ingiustamente di rapina e condotto in prigione; a salvarlo non ci sarà l’indomita e intraprendente Pat O' Shane, ma un’intera famiglia che, in una vicenda dagli irresistibili sapori comedy, farà di tutto per dimostrare la sua innocenza e scovare il vero colpevole. Ma la bellezza di questa storia sta nel suo intreccio, nei dialoghi, in questi personaggi così vivi, così reali, così belli da leggere... e nei disegni tratteggiati ed evocativi di Trevisan. Fiabeschi, direi. So long.

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Messaggio Da Ospite Dom 04 Set 2016, 12:43

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DI BERARDI, CASTELLI E ALESSANDRINI (28)

A Fort Benton Ken è in attesa di una licenza che possa permettergli di tornare dai suoi genitori. Prima del suo ritorno a casa, però, Lungo Fucile sarà coinvolto in due belle avventure targate Castelli, il famoso autore di Martin Mystère, che ha realizzato insieme al compagno di merende Alessandrini questa storia. Ne Il Caso di Oliver Price, la prima di queste, ci troviamo di fronte a un padre e un figlio contrapposti dalle rispettive posizioni. Il giovane Oliver, che deve intraprendere la carriera militare dimostrando il suo valore, da una parte, il Colonnello Price, che da lui si aspetta tanto, dall’altra. Ma quest’albo perché diventa un “caso”? Perché Oliver nella sua voglia di riscattarsi agli occhi del padre, di dimostrare ai camerati che lui non è un privilegiato (oggi diremmo “casta”) si troverà coinvolto in una difficile avventura, tra indiani e un carico d’armi sparito. E sarà proprio Ken ad aiutarlo e a ottenere la tanto agognata licenza. Ma quest’avventura dal sapore amaro non ha lo stesso lieto fine di un classico nolittiano come Il segno del coraggio, e da cui pure ci sono alcuni rimandi, ma qui il conflittuale rapporto padre-figlio porrà le basi per un triste epilogo. E il “caso” diventa cronaca. La cronaca di un soldato e delle idee un po’ retoriche del valore militare, dell’essere per forza degni di indossare una divisa. Anche quando non si dovrebbe, come in questo caso. E nelle ultime pagine di quest'avventura ci si chiede se a mettere fine alla giovane vita di Oliver sia stata una pallottola o i sogni illusori della carriera impostogli dal padre. So long.

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Messaggio Da Ospite Mar 06 Set 2016, 12:01

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DI BERARDI, CASTELLI E CIANTI (29)

Quella di Ken è una serie sorretta da un impianto realistico quindi era inevitabile che Lungo Fucile, nel corso delle sue avventure, si sarebbe confrontato con dei personaggi che hanno fatto la storia del West, per parafrasare la bellissima serie di D’Antonio. E in questo episodio Ken incontra uno dei miei preferiti: Wild Bill Hickok, una figura racchiusa nella sua aurea leggendaria e di pistolero infallibile che, nell’universo bonelliano, è stato protagonista di molti albi della citata Storia del West, un’avventura di Magico Vento e ha aleggiato in una tripla texiana scritta da Mauro Boselli. E mentre io ho sempre sognato di assistere a uno scontro tra Wild Bill e Tex Willer, in questo episodio ci troviamo di fronte soprattutto un uomo (più che all'infallibile pistolero) stanco della vita. Una persona, insomma, che ha i suoi lati oscuri e che Castelli mette bene in evidenza, in questa sua seconda sceneggiatura parkeriana. Ken incontra Hickok mentre si accinge a fare il suo rientro a casa, ottenuta la tanto agognata licenza, e si accorgerà che dietro alla leggenda di questo personaggio ci sono più ombre che luci. I problemi alla vista che lo condurranno alla cecità, la sua continua lotta per sopravvivere, il fatto che altri pistoleri vogliano misurarsi con lui, rende affascinante ma allo stesso tempo grottesca la figura di Wild Bill. Come una vera rockstar, questo personaggio incarna perfettamente il sogno americano: il successo delle sue imprese lasciano spazio a un processo di emulazione, di confronto. E tutti vogliono essere Wild Bill, compreso Sidney Barnett, che sogna di battere il più veloce pistolero del West. Anche in quest’avventura Ken fa da spettatore degli eventi, senza riuscire a modificarli, ma cercando sempre di fare la cosa giusta. Forse è lui la vera leggenda. Mentre al povero Wild Bill, a fine storia, non rimane che andare incontro al suo destino. So long.

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Messaggio Da Ospite Mar 06 Set 2016, 12:16

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DI BERARDI E MILAZZO (30)

La Capanna nella Foresta di Darkwood, la Fortezza della Solitudine, la Riserva dei Navajos, il Ranch dei Mac Donald’s sono i rifugi degli eroi. Perché anche i personaggi dei fumetti hanno un posto dove tornare. Compreso Ken. Casa dolce Casa è l’albo che chiude un percorso iniziato nel numero uno: otto anni dopo gli eventi narrati in quella storia, e la morte di suo fratello, Lungo Fucile ritorna a casa e riabbraccia i suoi genitori. Ma questo ritorno nel ranch di famiglia è l’occasione perfetta per delinerare alcuni momenti della vita intima di Ken, quel suo riassaporare la cucina di mamma, rivedere la stanza in cui ha dormito da bambino, rivisitare la cittadina dove è cresciuto. In questo caso gli autori si sono sforzati di mostrarci l’uomo Ken anziché l’eroe-antieroe dei fumetti conosciuto in tante avventure. Ma Casa dolce Casa si sviluppa su due piani narrativi. Non è solo Ken a tornare a casa, anche il suo vecchio amico Dick è ritornato all'ovile. Ed è proprio Dick il protagonista di questa storia, insieme a Lena, la sua vecchia fidanzata che ora fa la prostituta e ha cresciuto da solo suo figlio Benji. E Dick a Buffalo si porta indietro un mare di guai, i trascorsi della sua vita di rapinatore che coinvolgono lui e Ken, che non esiterà ad aiutarlo. Un episodio struggente, che non lesina emozioni, ma che risparmia stucchevoli mielosità. Perché è bello tornare a casa. Anche Superman e Tex sono contenti di rivedere la Fortezza della Solitudine e la Riserva Navajos. Così come Zagor e Cico, di ritorno dall’ennesimo viaggio, guardano con dolcezza alla loro Capanna di Darkwood. In questa storia Milazzo realizza le ennesime tavole ricche di poesia e di fascino. La scena di Ken al cimitero, l’abbraccio con i suoi genitori, Lena che richiude la porta piangendo di felicità dopo aver appreso che Dick vuole portarla con sé in un'altra città e una nuova vita. La capacità recitativa dei personaggi disegnati da Ivo si amalgama perfettamente con le scene descritte da Giancarlo. Come Mogol&Battisti, questi due geni sono ormai imprescindibili, intercambiabili, si leggono nell'animo. E Casa dolce Casa è l’ennesimo capolavoro della ditta Berardi&Milazzo, l’ennesima storia legata al verismo, alla vita, all’emozione. Il tutto racchiuso in un fumetto. E inoltre diciamocelo: pur non essendo degli eroi, anche per noi semplici lettori, dopo gli affanni di una giornata di lavoro, le code in autostrada, le vicissitudini della quotidianeità... è bello ritornare a casa. So long.

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Messaggio Da Ospite Sab 10 Set 2016, 12:51

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DI BERARDI, MANTERO E MARRAFFA (31)

In questo volume Berardi si accosta a uno dei temi caldi dell’epopea western: la guerra tra Sioux e l’esercito degli Stati Uniti d’America. Le "Colline Sacre" – che danno nome anche all’albo – rappresentano le radici culturali e di appartenenza del popolo rosso. Del loro orgoglio e del loro rapporto con il sacro, con la natura e con Manito. Giunto nella cittadina di Sundance insieme alla bella e intrepida Anne Lomax Ken si troverà suo malgrado a contatto con l’odio degli uomini di frontiera nei confronti degli indiani. Un odio alimentato da Mc Dowell, il solito speculatore che Tex farebbe volare da una finestra e che in Le Colline Sacre s’inventa un piano degno di un verme: fornire di armi i Crow, acerrimi nemici di Toro Seduto e della sua tribù, e suggerirgli di travestirsi da Sioux per attaccare i coloni e alimentare quell’odio di cui parlavo. Berardi e Mantero affrontano un tema scottante e che sta alla base di una parte mai raccontata della Storia americana, a quell’uso di espedienti vili come questi per “giustificare” l’intervento dell’esercito. Complottismo a parte, qualcosa del genere io l’ho avvertito anche dopo il crollo delle Torri Gemelle e la tanto contestata Seconda Guerra del Golfo. Non impareremo mai dagli errori. Tranne il nostro Lungo Fucile che, a fine storia, ci ripropone quella versione di sé vendicativa vista in Mine Town. Per una volta torna il Ken duro dunque che non esita a usare sistemi alla Tex Willer per risolvere la questione. Sarà infatti la dinamite a mettere fine alla carriera criminale di un verme come Mc Dowell. E se la disfatta degli indiani è storia purtroppo nota, Le Colline Sacre è in parte una vicenda amara perché il suo finale esplosivo, seppur nella chiave fantasiosa di un media come quello del fumetto, contribuisce a dare al lettore quel senso di giustizia tipicamente texiano che, alle volte, ci vorrebbe anche nella vita reale. So long.

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Messaggio Da Ospite Sab 10 Set 2016, 13:06

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DI BERARDI, MANTERO, AMBROSINI E MILAZZO (32)

Con La leggenda del Generale facciamo finalmente conoscenza con una figura controversa come quella di Custer. Dopo aver incontrato "Wild" Bill Hickok e dopo le vicende narrata nell’albo Le Colline Sacre, era inevitabile per Lungo Fucile confrontarsi con la personalità di un uomo odiato e venerato al contempo come Custer. L’abilità degli autori, Berardi e Mantero entrambi sceneggiatori di questa storia, sta nell’aver presentato tutti i vari aspetti della personalità di Custer, dall’odio misto a rispetto dei suoi soldati, alla venerazione mista a sottomissione di sua moglie Elisabeth “Libbie”. Ma in La leggenda del Generale, come sempre, c’è molto di più. Ken giunto a Fort Lincoln s’imbarca sul “Morning Star” per raggiungere i territori del Little Big Horn e unirsi al 7° Cavalleria. Ci troviamo in piena campagna militare, la battaglia tra le tribù di nativi di Toro Seduto contro l’esercito degli Stati Uniti di “Capelli Biondi” Custer. Ma nel suo viaggio Ken incontra due figure che avranno un ruolo importante in questa storia: la bella Monahseeta, indiana Sioux sopravvissuta alla strage di Washita, e suo figlio Yellow Shellow. E proprio in questi due personaggi sta la chiave del racconto e l’intuizione geniale di Berardi: cioè quella di dare un figlio bastardo a Custer. La Storia viene rivisitata dalla fantasia. E di nuovo, in un albo della saga kenparkeriana, l'autore ripropone le tematiche già viste nel capolavoro Chemako, ossia di quella della connivenza tra “razze”. Indiani e bianchi si possono unire nonostante l’odio e le differenze di culture e Monahseeta pur non rinnegando l’odio della sua gente nei confronti di Custer, per lui ha anche parole di affetto, di dolcezza, nei confronti di un uomo che, lontano dai doveri militari, poteva essere anche più “umano”. Inoltre bisogna aggiungere che le vicende del Little Big Horn sono state mirabilmente ricostruite in molti fumetti classici del genere western: dalla sublime e perfetta versione di Manfredi nella saga di Magico Vento a quella monumentale de la Storia del West di Luigi D’Antonio. Per non tacere di un bel western di Tex a tema firmato Nizzi e Ticci. Ma l’episodio di Ken è qualcosa di diverso. Gli autori di questa storia non sono alla ricerca di una rigorosa riproposizione storica di quei tragici eventi, no; semmai si concentrano sulle figure umane e controverse di quel periodo, soprattutto Custer. E non è un caso se, alla fine, non si comprende bene se il “leggendario generale” sia davvero tale o se invece quella che abbiamo visto è soltanto un esempio di viltà militare. Tutto resta avvolto in un limbo. Eroe o pazzo? Suicida o intrepido combattente? Chi è Custer? Una risposta univoca non c’è, ma questa storia funge da spartiacque nella saga, anche perché per la prima volta il nostro Ken decide comunque di lasciare l’esercito dopo la strage del 7° Cavalleria. Un segnale il suo, un messaggio forte e consapevole di volersi slegare da leggi e cavilli, codici e ottusità. Il messaggio di un uomo che vuole essere libero. So long.

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Messaggio Da Ospite Mar 20 Set 2016, 12:31

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DI BERARDI E TREVISAN (33)

Per Ken lasciare l’esercito è stata una scelta ponderata, sofferta, ma decisa. Ora gli aspetta la vita di frontiera con tutti i pericoli annessi e la necessità di provvedere per se stessi. Perché per vivere bisogna mangiare. E lavorare. Dunque pur rinunciando di sottostare alla disciplina militare, Lungo Fucile può continuare a fare il suo lavoro di guida. Insomma Ken si mette in proprio, per così dire, e nel Wyoming si aggrega come scout a un scalcinato trio di cacciatori tra cui spicca l’anziano Godey, un cantastorie, o forse sarebbe meglio dire un "cantafrottole", che m’immagino con la tipica voce di Lauro Gazzolo, doppiatore di tanti vecchietti dei film western. Ma a cambiare la vita di questi rudi uomini della frontiera è lei, Milady. O meglio, Barbara Hountington Scott, giornalista eccentrica e raffinata che da Londra è giunta in America per intervistare Toro Seduto. La vita del nostro eroe s’incrocia con quella di questa nobildonna un po’ ipocrita e moralista e, i suoi battibecchi con Ken, ricordano quelli che, in futuro, Berardi creerà tra Julia e il Tenente Webb. In questo episodio Berardi mostra ancora una volta la povertà dei nativi americani, disillusi dopo la vittoria del Little Big Horn. Con la strage di bisonti, il freddo, la mancanza di pelli e l’incertezza di Mandan, il coraggioso capo Sioux conosciuto nel primo episodio e in Pellerossa, che ritorna in questo episodio, il destino dei nativi sembra già segnato. Il progresso diranno gli storici. Ma in una vicenda cruda come questa, Berardi non manca di alternare sapientemente momenti divertenti e umoristici, mentre con la sua solita grazia Trevisan ci mostra un Canada raffinato come il volto di Milady, ricco di suggestioni, ombre, e pennalate grigie, morbide, che ammaliano il lettore. Ma la figura di Milady va ricordata perché è lei che “inizia” Ken alla lettura e al valore dei libri e della cultura. Un valore che Lungo Fucile scoprirà sulla sua pelle. Perché la conoscenza è consapevolezza. Una consapevolezza che lo costringerà in futuro a prendere delle scelte, ad avere un'opinione. E per questo motivo affrontare il proprio destino. So long.

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Messaggio Da Ospite Mar 20 Set 2016, 12:47

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DI BERARDI, MANTERO E MARRAFFA (34)

Guardando la Giubba Rossa in copertina mi viene in mente un'epica, mitica storia di Tex Willer disegnata dal maestro Ticci e scritta da Giovanni Luigi Bonelli. Ma qui ci troviamo nella dimensione parkeriana, dove le vicende avventurose assumono significati diversi. In quest'albo ritroviamo il nostro Ken che, dopo l’ultima avventura, è giunto nel piccolo paese di Milestone, Canada, e si trova immischiato nelle vicende del giovane gambler Tim Hawkins, un baro che il nostro eroe decide di assoldare per il suo nuovo lavoro: condurre viveri e bestiame sui monti innevati a un gruppo di cercatori d'oro. Ma Tim viene arrestato e Ken decide di pagare la cauzione al suo nuovo amico e di dargli un lavoro. Si ripete in qualche modo il meccanismo della "redenzione", elemento tipico delle sceneggiature berardiane, ma questa volta, a differenza di storie come Uomini, bestie ed eroi, Ken non riesce ad assoldare nella sua squadra Tim che, invece, fugge di prigione insieme a due loschi figuri come Neal e Gray. Ma Hawkins non è un assassino, un cattivo ragazzo, un energumeno privo di scrupoli; forse soltanto una persona che vive di espedienti e di qualche lavoro quando, e se, capita. Perché il Canada, questa meravigliosa regione patria di diseredati, di sognatori che cercano un filone d’oro che possa cambiargli la vita, di territori in gran parte selvaggi e inesplorati, la vita può essere gelida come il vento del Nord. E la fuga di Tim e dei suoi complici si aggrava con il rapimento della bella Victoria, giovane figlia del ricco Mr. Crosby. Lungo Fucile decide di salvare la ragazza ma di salvare soprattutto Tim. Mantero sceneggia il soggetto di Berardi privandoci di lungaggini e dialoghi ridondanti e con padronanza del mezzo. Ma se nel precedente episodio la Milady che dava il titolo all’albo era poco “milady” chi sono i Cavalieri di questa storia? Forse Ken che non esita a mettersi in gioco pur di salvare un poco di buono? Le impavide Giubbe Rosse che rischiano la vita in territori selvaggi come il Saskatchewan? O un ragazzo come Tim che farà scudo alla bella Victoria pur di salvarle la vita? A fine albo il vero cavaliere forse è lui che, oltre alla salvezza, troverà anche un lavoro e l’amore di una donna. Perché in fondo è questo che i Cavalieri devono fare: costruirsi un futuro. I tempi delle imprese e delle singolar tenzoni sono finiti. Mettere su famiglia, è quello il vero gesto nobile che deve compiere ogni cavaliere che si rispetti! So long.

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Messaggio Da doctorZeta Mar 20 Set 2016, 13:42

Milady è, IMO, il personaggio più importante dell'intera saga, capace di cambiare le azioni future di Ken.

Il 34, invece, non mi ha lasciato niente. Sembra proprio che i personaggi sembrano attori messi con la speranza di finire presto la scena per andare a fare pausa caffè

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Messaggio Da Ospite Gio 06 Ott 2016, 10:44

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DI BERARDI, SCLAVI, CIANTI E MILAZZO (35)

Il sentiero dei giganti si ricollega all’avventura precedente, con il nostro eroe che è rimasto in Canada per condurre una mandria e dei viveri a una piccola colonia di minatori a Surprise. Una sceneggiatura firmata Tiziano Sclavi, autore celebrato e celebrativo di questo 2016, che debutta nella serie parkeriana. E in quest’albo gli elementi sclaviani emergono sin da subito: il taglio più cinematografico delle scene, gli stacchi ripetuti, i dialoghi mai banali, i personaggi alle volte spassosi, alle volte patetici (come la vita), e tanta umanità. Il forzuto Franz, che Giovanni Cianti, disegnatore di quest’albo, conferisce i tratti di un giovane Arnold Schwarznegger, è un uomo buono. Un uomo capace anche di perdonare il suo amico e datore di lavoro Harry – piccolo e minuto, moralmente e anatomicamente così diverso da Franz – che aveva cercato di truffarlo. Come in altre avventure, anche in questo caso Ken si circonda di derelitti e disperati, e decide di assoldare i due amici, ormai disoccupati. Nel loro viaggio si unisce anche la bella Erna Schurer, donna di frontiera capace di tutto. Elegante e raffinata, deve raggiungere Surprise per reincontrarsi con il suo compagno. Il sentiero dei giganti è una buona storia, un banco di prova per il futuro autore di Dylan, che firma una sceneggiatura perfettamente berardiana in cui i vari elementi sono ben calibrati: azione, dialoghi e disegni. In quest’avventura dalla trama semplice (non un capolavoro, ma con Sclavi ci si aspetta sempre questo) c’è l’immancabile lieto fine, e la struggente figura del forzuto Franz piace e convince. Un uomo che, nonostante la sua forza, non è un arrogante e un approfittatore, non utilizza i muscoli per primeggiare. La sua timidezza nei confronti di Erna in realtà è un elemento funzionale alla storia e che dimostra tutta la sua umanità: perché puoi piegare sbarre di ferro, battere nemici e fermare i cavalli con la tua forza, ma non potrai mai sottrarti all’amore, caro Franz! E Sclavi lo sa. E se l’amore – l’inizio, l’approccio, i tentativi di una storia d’amore –  può far paura, diciamo che alle volte diventa proprio necessario. E può anche cambiarti la vita. So long.

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Messaggio Da Ospite Gio 06 Ott 2016, 10:55

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DI BERARDI E MILAZZO (36)

Che cosa si può dire di una storia come Diritto e Rovescio? E’ un fumetto d’autore? Un fumetto western? Un fumetto popolare? Entrambe le cose? Berardi ha già sperimentato, innovato e cambiato i comics negli anni Settanta, ma con quest’albo il tema, o meglio, l’incipit sociale assume nuova rilevanza: per la prima volta nella storia della Bonelli si affronta una tematica che non riguarda i diritti degli indiani d'America, l’uguaglianza tra razze o altri importantissimi punti, ma l’omosessualità. Lo riscrivo: omosessualità. Ken è giunto a Helena e assiste a un insolito spettacolo tetrale. Insolito perché sul palco c’è Totò e Mauro Castellani, magnificamente resi dal pennello di Ivo Milazzo. Tra risate e applausi Lungo Fucile però è testimone di un omicidio. Ancora una volta, accusato ingiustamente, deve dimostrare la sua innocenza alle forze dell’ordine che pensano sia coinvolto nell’assassinio di Mister Cannon. Ma è il suo incontro con Junius Fey a trasformare quella che poteva essere la “solita” storia western in un piccolo capolavoro. La figura di questo ballerino, di questo travestito, di questo gay è moderna e commovente. Ma in questa storia è tutto così apparente e intraducibile, e anche Ken parteciperà al gioco travestendosi da donna aiutato dall’esperto Junius. Insieme i due indagheranno per le strade di Helena tra equivoci e battute come in una commedia teatrale. Insomma non solo sparatorie, ma anche ravestimenti e lazzi alla Moliére. Però come dicevo niente è come sembra. Perfino uno sceriffo corrotto e la sua vittima non sono quelli che sembrano. E’ come se Berardi volesse farci capire che è sempre difficile giudicare dalle apparenze, perfino quando la verità è sotto gli occhi di tutti e appare evidente. L'autore sperimenta, plasma, corregge, amplifica il media fumetto verso nuovi orizzonti e ribalta gli schemi. E la forza di questa storia è senz’altro Junius, la sua personalità sensibile ed elegante. “Il vero dolore è la solitudine… quello te lo porti dentro e non riesci più a scrollartelo di dosso”, spiega in lacrime al suo amico Ken in un momento di grande pathos della storia. La solitudine s’imprime nella pelle e non bada ai travestimenti, alle etichette, alle forme e alla sessualità. Siamo quel che siamo, ma dentro di noi il cuore è caldo e alle volte batte da solo. Ma il sangue è sempre di colore rosso per tutti. So long.

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Messaggio Da Ospite Gio 06 Ott 2016, 11:11

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DI BERARDI, MANTERO, AMBROSINI (37)

Se nell’episodio precedente si affrontava la tematica omosessuale questa volta è la pena di morte a interessare Berardi e Mantero. Cronaca è un albo all’apparenza tradizionale: una classica rapina alla Wells Fargo terminata con la cattura di uno dei colpevoli, Vincent Hagler, condannato a morte. I suoi due fratelli, Mead e Cliff, cercheranno di liberarlo utilizzando sistemi criminali e intimidatori simili a quelli della Mafia o della Camorra. Nel corso di questa storia Ken incontro George Maledon, boia che deve raggiungere Boise City, nell’Idaho, per giustiziare Vincent. Con lui Lungo Fucile avrà un aspro dibattito sulla "legalità" della pena di morte, tema attualissimo anche oggi. Dal punto di vista autoriale, in quest'albo Mantero dimostra di voler spingersi un po’ oltre frapponendo le varie scene narrate nei balloon “montandole” con gli articoli di giornale che Ken leggerà nel corso della storia. Un modo di fare fumetto, sotto certi aspetti cinematografico, e che su schermo renderebbe meglio. Ma la pagina è pur sempre la pagina. E le emozioni che l’autore riesce a dare al termine della storia valgono mille discorsi. Le ultime tavole di Cronaca, infatti, con il suo montaggio alternato, ci mostrano da un lato un Ken pronto a lasciare il paese nauseato dall’accanirsi moraleggiante dei cittadini di Boise City, mentre dall'altro la preparazione di Maledon all’esecuzione di Vincent, le lacrime della vittima e l'ipocrisia dei suoi giustizieri. Inquadrature, disegni e dialoghi in questo caso funzionano alla perfezione, e il pennello di Ambrosini ben tratteggia questo momento. Ma le lacrime di Vincent non basteranno a commuovere i cittadini desiderosi di giustizia (o vendetta). E il vecchio monito “nessuno tocchi Caino” sembra emergere dalle pagine di questa storia. L’eroe di Berardi in questo caso cone diremmo oggi "è schierato", ma questo suo schierarsi nei confronti di temi che interessano “il sociale” apparirà ancora più evidente in storie come Sciopero, causando aspri dibattiti fuori dal contesto dei comics. Ma qualunque sia la posizione politica di autori e personaggi dei fumetti, gli uomini dovrebbero ambire più alla giustizia che non alla vendetta. So long.

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Messaggio Da Ospite Gio 06 Ott 2016, 11:16

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DI BERARDI, MANTERO E MARRAFFA (38)

Dopo due avventure “scottanti e sociali” arriva Il Poeta, un albo che nelle intenzioni di Mantero dovrebbe (o potrebbe) essere una semplice avventura di transizione ma che in realtà è molto di più. In una serie come Ken Parker niente è semplice per definizione. La trama? Un classico del genere, ossia: una catena di rapine e di furti ai danni della Wells Fargo. Tutto semplice se non fosse che a firmare questi colpi è un pistolero con il vezzo per la poesia. Un biglietto scritto di suo pugno (mi piace immaginarlo su carta colorata e profumata) con tanto di rime baciate. Ken decide di aiutare Langhorne Boye, ispettore della Wells Fargo, e di collaborare con Blade, un uomo rude e dai metodi spicci. Nel corso delle indagini Lungo Fucile scoprirà chi è il vero poeta, questo anonimo buontempone che nel west berardiano si era messo in testa di portare la letteratura in un mondo d’incolti. Anche questa, se vogliamo, è rivoluzione. So long.

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Messaggio Da Ospite Dom 16 Ott 2016, 12:17

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DI BERARDI E TREVISAN (39)

Come nella bellissima storia Un uomo inutile anche questa volta Berardi mette a confronto la vecchia e nuova generazione. In Odio antico Earl Dunn è l’anziano sceriffo in carica che deve difendere il suo posto dalll’imberbe Philip Cole. Ken giunge nel momento cruciale di queste elezioni nella cittadina di Prescott, Arizona, e si trova suo malgrado coinvolto in una vicenda densa di antichi rancori. Un western ancora una volta “contaminato” da elementi gialli e di indagine che tanto piacciono all’autore e che sono seminati questa volta in un’intera cittadina in cui alberga il seme dell’odio. Cole vince le elezioni, ma i suoi metodi, i suoi codici e le sue leggi risultano inefficaci in una cittadina di frontiera come Prescott. Meglio Dunn che, però, si è riservato di trascorrere la vecchiaia e la pensione in un ranch di sua proprietà alla faccia della Fornero. Ma in questa vicenda c’è un mistero da risolvere, un bieco approfittatore di cui non rivelerò l’identità e che Ken identificherà nel finale, una bella maliarda, Lola Marlene - che ha il volto della magnetica Marlene Dietrich - e i Wambaugh, famiglia dall'oscuro e tormentato passato. E in Odio Antico signori cari, Berardi smitizza definitivamente il concetto dell’eroe. Nella sparatoria finale tra lo sceriffo Dunn e i suoi nemici, la bella Lola rinchiude Lungo Fucile in camera impedendogli di aiutare l’amico in difficoltà. Diciamocelo: Tex non si sarebbe mai fatto fregare così! So long.

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Messaggio Da Ospite Dom 16 Ott 2016, 12:31

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DI BERARDI E MILAZZO (40)

Finalmente il western! Apache è una vicenda importante nella serie di Ken Parker, con il ritorno di Dashiell Fox, l’amico del nostro eroe che abbiamo consciuto nei primi numeri. Dash è stato il "pard mancato", una sorta di Carson berardiano, però Ken è un eroe solitario geneticamente diverso da Tex. Ma passiamo alla storia: inizio col dire che Berardi in quest’albo mette davvero tanta carne a fuoco. Da una parte abbiamo gli Apache di Chato, capo di una razza indomita e fiera costretta ad arrendersi ai soldati; dall’altra abbiamo il coraggioso agente indiano Clum che lotta contro i sorprusi che militari e pezzi grossi fanno ai danni degli Aravaipo e che è protagonista di una memorabile sequenza a inizio albo. In mezzo Dash, amico degli indiani, ma che deve svolgere il suo lavoro di scout. Apache è un'altra storia di conflitto (penso a Omicidio a Washington o Chemako) in cui Berardi & Milazzo mettono in evidenza la sofferenza di un uomo come Chato, che per vendicare i suoi famigliari intraprende la strada della vendetta: la scena della sua fuga dal treno è sublime, così come cruda è la sua smania di sangue, con l’uccisione di una famiglia di coloni. Chato sa che dovrà piegarsi, arrendersi, morire, ma a lui non importa: vuole farlo uccidendo. Ma è giusto vendicare la propria gente ammazzando degli innocenti? E forse non erano degli innocenti, e delle vittime, la moglie e la tribù di Chato? Sono le tante domande che questa storia fa nascere. Berardi inserisce in questa storia anche il giovane Juh, indiano che vuole unirsi a Chato e che, invece, nasconde propositi di vendetta nei suoi confronti. Perché dall'odio non se ne esce indipendentemente dal colore della pelle. Una storia che avrebbe avuto bisogno di più pagine per essere pienamente narrata perché il formato Cepim inizia a stare stretto agli autori e che li porterà in futuro a cambiare formato e taglio. Ma è presto per parlarne. So long.

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Messaggio Da Ospite Mer 19 Ott 2016, 10:48

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DI BERARDI, SCLAVI E TARQUINIO (41)

Ottobre è il mese di Sclavi. Tempo di celebrazioni dunque come ho già detto in precedenza. Alcune signore di piccole virtù è una storia che ho riletto con piacere, un titolo accattivante alla De Maupassant che premia l’inedito – e sotto certi aspetti rivoluzionario per la Bonelli – soggetto berardiano, ossia: Ken deve scortare un nutrito gruppo di prostitute a Chuska, piccolo avamposto militare situato sui Colorado Plateau. E sono proprio loro, queste signore di piccole virtù, le protagoniste di una storia tutto sommato semplice e lineare, con il nostro amato scout più sognatore del solito (sclaviano nell’essenza) contrapposto a un moralistico Tenente Jeremy Acton che sembra uscito da una scuola di bon ton. Diciamocelo pure: quello delle prostitute è il mestiere più antico del mondo, ma anche queste indomite signore sono delle donne. E amano. Ed è qui che Sclavi dimostra di essere un autore sensibile come pochi proprio tratteggiando le personalità di queste ragazze rendendole uniche. La malinconica Regina, la simpatica Molly detta “Al Diavolo”, la triste Annie,  la Eleonore dal tragico passato… insieme alle altre, queste donne danno vita a un palcoscenico di persone vere, un teatro di personaggi in cerca d’autore, di storie o di amore. Quelle storie che a Ken “piacerebbe conoscere e vivere” perché il nostro non è uno che bada all’etichetta, alle formalità, o al mestiere. Tanto da queste ragazze ci siamo andate un po' tutti, ma Lungo Fucile è uno che non si formalizza di fronte alle puttane. E voi lo fate? So long.

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Messaggio Da Ospite Mer 19 Ott 2016, 11:01

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DI BERARDI, MANTERO E MARRAFFA (42)

Quella delle sette città di Cibola è un tema classico dell’epopea western che Boselli affrontò in una sua magnifica storia zagoriana. Gli sconfinati e aridi territori del sud-ovest divennero come gli immensi oceani dei filibustieri, ossia luoghi ricchi di tesori e utopie da scoprire. Per anni ricercatori, pazzi e Digging Bill per antonomasia hanno sperato di far fortuna. Ma senza successo. Sui Dragon Mountains la spedizione del Professor Simmons e del bieco Meeker sta cercando proprio queste sette famigerate città e il nostro Ken, assoldato da Cora Simmons, la bella figlia dello studioso, accetta di farle da guida alla ricerca del suo papà. Ma nella saga di Lungo Fucile c’è sempre spazio per una certa originalità e Mantero, allievo di Berardi, dà uno squarcio umano, per così dire, alla vicenda, soprattutto per quanto riguarda la vera identità del Professor Simmons che è un bel colpo di scena tipico delle storie gialle. Ma Ken questa volta, a differenza di quanto visto in Odio Antico, si comporta da “eroe” e riesce alla fine ad avere la meglio sugli uomini di Meeker. Marraffa, disegnatore modesto e dal tratto spigoloso, fa quel che può nel presentarci gli scenari desertici dell’Ariziona meridionale, in un periodo in cui le storie di Ken Parker si sviluppano in questi territori. Ed è proprio nelle grotte che dovrebbero condurre alle sette città d’oro che Lungo Fucile utilizza un trucco per sgominare i suoi nemici, lasciandoli credere che i Conquistadores sepolti in quegli anfratti siano ritornati in vita. Niente elemento soprannaturale, intendiamoci bene, però quest’albo è pregno di elementi horror perché in fondo quello dell’avidità può essere un mostro dei più temibili da affrontare. E da sconfiggere. So long.

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Messaggio Da Ospite Mer 19 Ott 2016, 23:49

Gran bel lavoro Guitar Jim. COMPLIMENTI!!!!! no-ta no-ta /incazzato/ VIVA KEN

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